Agosto 2020: ferragosto d’inferno.

Viaggio tra amiche a Napoli.
Partiamo da Milano con il treno, arriviamo in stazione e, per raggiungere l’appartamento, prendiamo la metro che, causa covid, ha solo un tornello aperto per contingentare l’ingresso ai binari generando una coda chilometrica.
Ottima partenza. Ma va bene così, un po’ di attesa non è un problema.

Primo giorno Pompei: nonostante gli ettolitri di sudore che paghi girando a metà agosto (mea culpa), e gli spostamenti infiniti da un posto all’altro con i mezzi che ci fanno saltare il pranzo, tutto liscio.
Giorno 2, ferragosto. Perché non fare un giro in costiera amalfitana? L’inizio del dramma. Treno Napoli-Salerno: pieno, caldo è un eufemismo, ho visto una nonnina andare più veloce di noi. A piedi.

A Salerno, ormai le 2 di pomeriggio, ci attendeva un’oretta di attesa per il “bus” che ci avrebbe portato ad Amalfi. Illuse.
Prediamo finalmente l’autobus, ove sembrava non esistere il covid. Sarei stata più lontana nell’utero di mia madre con un gemello.

Il viaggio è tutto un curve e saliscendi, caldo torrido che priva del respiro. Effettivamente il covid sarebbe stata una soluzione migliore all’ipossia. Le mie compagne di viaggio iniziano ad accusare i primi colpi. Decidiamo quindi di scendere a Positano, Amalfi sarebbe stata troppo impegnativa.
Come mettiamo piede sull’asfalto e girovaghiamo la prima mezz’ora per trovare una sorta di buco sulla spiaggia per poter riprenderci, ci rendiamo conto che non ci sono speranze. Tutte spiagge private, o almeno così ci hanno detto. Una delle due amiche inizia a sentirsi male per il caldo. Falla riprendere e intanto cerca di trovare una soluzione.

Ormai pomeriggio inoltrato, buttato in un viaggio della speranza, decidiamo di ritornare indietro. L’autobus è impensabile. Ad attenderlo decine di persone. Il primo disponibile sarebbe stato tra ore mettendosi in fila subito.
Cerchiamo un’altra soluzione: entro in questo bar, faccio amicizia con i ragazzi che lavorano lì e gli spiego la situazione. Con un po’ la faccia da culo provo a scroccargli un passaggio fino a Salerno, ma vista l’ora, a breve avrebbero dovuto iniziare il turno serale.
Vaglio l’ipotesi dell’autostop. Magari anche no.

Alla fine, stremate, ci facciamo fottere 90 dindini da un taxista per riportarci in stazione.
Sembravamo tre zombie in un taxi, davanti agli occhi ci scorrevano le immagini del Vietnam, ma pensavamo di avercela fatta.

Arrivate a Salerno dovevamo solo aspettare una decina di minuti per la circumvesuviana e poi sarebbe finito tutto. Inizia a stare male anche l’altra amica. Acqua, zucchero, in qualche modo resistite e saliamo su quel treno. Almeno quella tratta è stata piacevole, passata a chiacchierare con il controllore.
A Napoli decidiamo di farci una doccia e “festeggiare” questo indimenticabile ferragosto uscendo a cena (unico pasto della giornata) e poi terminando lì la giornata, con la speranza che il giro a Caserta del giorno seguente ci avrebbe rialzato il morale.

Sveglia presto per la reggia.

Mi alzo con dei crampi allucinanti all’addome. Io memore del capodanno passato all’ospedale per gli stessi dolori, chiedo di chiamare l’ambulanza. Anche questa giornata andrà alla grande.

Dopo un susseguirsi di chiamate rimbalzate da un medico all’altro, dopo due ore arriva la guardia medica a visitarmi: non commenterò l’esperienza con la sanità partenopea, ma conclude la visita diagnosticandomi una peritonite. Chiama l’ambulanza. Un’altra ora ad aspettare. Arrivano, ormai le 11 del mattino e mi assegnano codice verde chiedendomi se volessi essere portata in ospedale.
Insomma, mi evito questa allettante esperienza sanitaria, prendo in qualche modo il primo treno per tornare a casa e concludo la mia conoscenza con Napoli così.
Bella città, cibo paradisiaco, convinta di tornare a casa rotolando per tutto il fritto il fritto ingerito vi faccio ritorno deperita.